di Massimo Ostoni – Consulente del lavoro
E’ insito nel rapporto di lavoro subordinato il divieto per il lavoratore di trattare affari, in ogni forma, in concorrenza con il datore di lavoro, così come gli è vietato divulgare notizie relative all’impresa per cui lavora ed alla sua produzione, ed ovviamente anche utilizzare tali notizie in modo da procurarle pregiudizio.
Il divieto di mettere in atto comportamenti in concorrenza viene ovviamente meno alla cessazione del rapporto, e pertanto, qualora il datore di lavoro sentisse la necessità di impedire gli stessi anche dopo la fine della collaborazione, deve stipulare un apposito patto (si tratta di un vero e proprio contratto) con il lavoratore.
Il patto in questione deve essere stipulato obbligatoriamente in forma scritta, e deve necessariamente prevedere un corrispettivo e precisi limiti di oggetto, di tempo e di luogo.
In particolare è necessario stabilire i confini territoriali di validità del patto stesso (ad esempio la regione o l’intero territorio nazionale), individuare in modo inequivocabile l’attività e/o l’area di attività (in alcuni casi potrebbe trattarsi di un elenco di aziende per le quali il lavoratore non deve lavorare) e concordare la durata del divieto (che comunque non può superare i 5 anni per i dirigenti e i 3 anni in tutti gli altri casi).
Il corrispettivo deve essere espressamente pattuito e deve essere congruo, tenendo conto di tutti gli altri elementi del patto (oggetto, durata e ambito territoriale).
Su questo punto vale la pena precisare che è necessario stabilire con precisione il valore del corrispettivo, e non è ritenuto sufficiente un compenso variabile; quindi, per fare un esempio tipico, stabilire la corresponsione di un valore mensile in aggiunta alla retribuzione ordinaria per la durata del rapporto di lavoro non è considerato corretto senza l’individuazione del compenso complessivamente dovuto, in quanto in tal caso verrebbe a mancare la consapevolezza nelle parti di quanto vale l’impegno assunto dal lavoratore. Infatti, se il rapporto dovesse durare poco, il lavoratore si sarebbe impegnato a limitare la propria possibilità di lavorare a fronte di un esiguo compenso.
Il patto di non concorrenza può essere stipulato nel momento dell’assunzione (anche con l’inserimento di apposita clausola nella lettera di assunzione), durante il rapporto, nel momento della cessazione o addirittura a rapporto finito.
Il mancato rispetto degli obblighi assunti dal lavoratore comporta l’applicazione di sanzioni, che è buona norma pattuire con precisione sin dall’origine, per evitare di lasciare l’individuazione del danno e del relativo risarcimento completamente nelle mani di chi eventualmente dovesse essere chiamato a giudicare.
Il patto di non concorrenza, come tutti i contratti e le singole clausole che regolano i rapporti tra due o più parti, deve essere pensato e scritto con grande attenzione, e per questo se non si hanno le competenze necessarie, è sempre molto utile affidarsi ai propri consulenti di fiducia.