di Massimo Ostoni – Consulente del lavoro
Chi sbaglia paga!
Così è nella vita come sul posto di lavoro; già, perché il lavoratore offre al datore di lavoro le sue prestazioni ed il suo tempo, ma deve farlo correttamente, osservando le disposizioni ricevute e senza dimenticare che anche in azienda valgono le regole del vivere comune.
Quando questo non avviene è data facoltà al datore di lavoro di intervenire sanzionando il proprio dipendente, attenendosi però scrupolosamente ad una procedura dettata dalla legge (Art. 7 L300/70) e dal Contratto Collettivo applicato.
Innanzitutto è necessaria la preventiva e continuativa affissione del codice disciplinare in azienda, anche se è opportuno ricordare che i comportamenti che violano leggi vigenti o contrari alla coscienza sociale o ancora lesivi dei doveri fondamentali derivanti dal rapporto di lavoro, possono essere sanzionati anche in assenza di tale affissione.
La procedura si sviluppa in tre momenti fondamentali: la contestazione dell’addebito, l’eventuale difesa dell’incolpato, la comminazione della sanzione disciplinare.
CONTESTAZIONE DELL’ADDEBITO
Il datore che rilevi un comportamento sanzionabile, deve contestarlo in forma scritta al lavoratore immediatamente (con tempestività) e con specificità, agendo quindi appena possibile ed indicando con la massima precisione il fatto, nonché il luogo, il giorno e l’ora (se possibile) in cui è stato commesso.
DIFESA
Il lavoratore incolpato ha a disposizione 5 giorni (di calendario) dalla ricezione della contestazione per difendersi, scrivendo le proprie giustificazioni o chiedendo di essere ascoltato (anche con l’assistenza di un rappresentante dell’associazione sindacale cui ha eventualmente conferito mandato).
Il datore non può rifiutare tale audizione, ma non è tenuto ad accettare che il lavoratore sia assistito da un legale.
COMMINAZIONE DELLA SANZIONE
Trascorsi i 5 giorni concessi per la difesa o dopo aver ascoltato il lavoratore che ne abbia fatto richiesta, il datore può applicare la sanzione disciplinare che ritiene congrua per i fatti contestati, nel rispetto delle previsioni del Contratto Collettivo applicato.
Le sanzioni comunemente previste sono, in ordine di gravità, il rimprovero verbale, il biasimo scritto, la multa (trattenuta dalla retribuzione e versata ad un apposito fondo presso l’INPS), la sospensione (dalla retribuzione e dal lavoro), il licenziamento disciplinare (per giustificato motivo soggettivo e per giusta causa).
E’ importante sfatare un’errata convinzione: non è necessariamente vero che alla terza sanzione sia possibile licenziare per giusta causa un lavoratore. La sanzione deve sempre essere commisurata alla gravità dei fatti contestati, pur riconoscendo che la recidiva è un fatto di per sé sanzionabile ed una indiscutibile aggravante. In ogni caso si ricordi che non è possibile tenere in alcun conto le sanzioni disciplinari trascorsi due anni dalla loro comminazione.
Contro il provvedimento disciplinare inflitto dal datore di lavoro, il lavoratore può proporre opposizione mediante ricorso al giudice del lavoro (in questo caso si applica la prescrizione ordinaria, 10 anni), o promuovere entro 20 giorni la costituzione di un collegio di conciliazione ed arbitrato presso l’Ispettorato Nazionale del Lavoro (prima DTL), oltre che applicare apposite procedure eventualmente previste dal Contratto Collettivo.
E’ il caso di ricordare che l’applicazione delle sanzioni disciplinari riguarda esclusivamente il lavoro subordinato, e non è permessa nell’ambito di rapporti di diversa natura, come quelli di lavoro autonomo o parasubordinato.
In ultimo, si ponga attenzione al fatto che la possibilità di sanzionare il lavoratore è prerogativa del solo datore di lavoro, e pertanto:
– in caso di lavoratore distaccato, il potere disciplinare resta in capo al distaccante (e non al distaccatario)
– in caso di lavoratore somministrato, il potere disciplinare è riservato al somministratore (e non all’utilizzatore).